Terni: che fine ha fatto il servizio di cessione delle armi da collezione?

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Terni: che fine ha fatto il servizio di cessione delle armi da collezione?

È passato un anno da quando il comando logistico dell’esercito avvisò ufficialmente i collezionisti che avevano in corso la pratica per l’acquisto delle armi Ex ordinanza conservate nel Pmal di Terni, che la procedura era stata sospesa a causa dei rilievi avanzati sull’argomento dalla Corte dei conti. Non è poi così strano che il supremo organo di controllo della contabilità dello Stato avesse trovato perlomeno “curiosa” la procedura di “permuta” che prevedeva che i collezionisti pagassero aziende private le quali poi cedevano materiali per un pari importo al Pmal di Terni, per garantirne il funzionamento. A fronte di ciò non ci sarebbe voluto neanche poi l’ingegno di Einstein per mettere a punto una nuova procedura, meno farraginosa e più lineare (bonificare direttamente il comando logistico? Troppo fantascientifico, eh?) e riprendere la cessione delle armi da dove si era lasciata. Al di là dell’interesse da parte dei collezionisti per la possibilità di entrare in possesso di cimeli non alterati da passaggi commerciali, quindi molto appetibili dal punto di vista filologico e storico, la procedura di cessione aveva anche l’utilità di far entrare bei soldini (direttamente o sotto forma di utilità “in natura”) nella macchina burocratica dell’esercito. Macchina che soprattutto oggi, con le roboanti promesse del nostro governo nei confronti di Donald Trump, di portare effettivamente il bilancio della Difesa al 2 per cento del Pil (ma la richiesta del presidente statunitense era addirittura del 5 per cento…), potrebbe anche far comodo “carburare”, nel suo piccolo, con la cessione a prezzi di mercato di armi obsolete che, nei magazzini, costituiscono solo un costo e un immobilizzo di capitale. L’ultimo listino pubblicato, quello del 2023, evidenziava un controvalore di quasi 1.200 euro per la cessione di una pistola Walther P38: assumendo che nel corso dell’anno ne venissero vendute, per ipotesi, 100 (un numero tutt’altro che irraggiungibile, anzi sottostimato), ecco materializzarsi un controvalore di oltre 100 mila euro, prontamente utilizzabili per l’espletamento di attività strategiche. Ovvio, cosa sono 100 mila euro a fronte delle decine di milioni di euro del bilancio della Difesa? Nulla, ovviamente, una goccia nel mare, ma il mare è comunque fatto di gocce e anche una goccia di questo tipo potrebbe essere d’aiuto.

Invece, ed è un dato di fatto, di considerare la cessione a collezionisti di materiale che viene tenuto solo ed esclusivamente a fare polvere nelle rastrelliere come una risorsa, anziché come un problema, non se ne è mai parlato. Non è un mistero che per il comando logistico la cessione delle armi ai collezionisti sia stata sempre una palla al piede, né è un mistero che i militari non abbiano mai voluto pubblicare, per ragioni prettamente politiche e di “immagine” il listino ufficiale sul sito dell’esercito, bensì lo abbiano sempre fatto circolare in modo “carbonaro” facendo esplicita richiesta. Perché guai a far sapere ai benpensanti che l’esercito “vende”, ohibò, i ferri vecchi ai collezionisti (e non ai bambini soldato del Congo, sia chiaro…).

Ecco, forse questo stop forzato potrebbe servire a dire basta a tutti questi bizantinismi, e ripartire con il piede giusto, cioè con il piede di chi è consapevole di avere a disposizione un patrimonio storico culturale da condividere, guadagnandoci pure soldini utili, nel loro piccolissimo, per mandare avanti la baracca.

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Fonte: armietiro
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