Sparare in aria costa (ancora una volta) il porto d’armi

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Sparare in aria costa (ancora una volta) il porto d’armi

La questura di Napoli ha revocato il porto di fucile per uso caccia e la prefettura ha disposto il divieto di detenzione di armi e munizioni in capo a un cittadino che è stato segnalato all’autorità giudiziaria per il reato previsto dall’articolo 703 del codice penale (accensioni ed esplosioni pericolose) per aver esploso un colpo di fucile in aria “al solo fine di spaventare alcuni malintenzionati che si stavano accingendo ad entrare forzatamente all’interno della sua abitazione, di notte, dopo aver scavalcato il muro di cinta del terreno confinante, e quindi al solo fine di sventare un furto”. Il cittadino ha, peraltro, indicato tra i motivi del ricorso il fatto che i provvedimenti sono stati adottati con la mera segnalazione all’autorità giudiziaria, senza tuttavia che si fosse atteso l’esito del procedimento penale.

I giudici (Tar Campania, sezione V, n. 411 del 2024, pubblicata il 15 gennaio) hanno tuttavia respinto il ricorso, argomentando che “Tali circostanze, pur non ancora definite in sede penale, sono state ritenute tali da far emergere elementi sintomatici della possibilità di abuso delle armi e, pertanto, tali da ritenere gravemente compromesse le rigorose garanzie di affidabilità prescritte dall’ordinamento per la titolarità della licenza di armi, giustificando, altresì, una l’adozione immediata del divieto di detenere armi senza la previa comunicazione, all’interessato, di avvio del procedimento prevista dall’art. 7 della legge n. 241/90. Come più volte affermato in giurisprudenza, infatti, “in materia di autorizzazioni di polizia, il nostro ordinamento è caratterizzato da un sistema rigoroso di controlli volti a ridurre al minimo il possesso e la circolazione delle armi e i rischi connessi. La regola generale è infatti rappresentata dal divieto di detenzione delle armi, che l’autorizzazione di polizia è suscettibile di rimuovere in via di eccezione, in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi, anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire. In materia di porto d’armi l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati ai sensi dell’art. 10, 11, commi 1 e 3 prima parte e 43, comma 1, del r.d. n. 773 del 1931, ovvero di poteri discrezionali ai sensi dell’art. 11, commi 2 e 3 seconda parte, 39, 42 e 43, comma 2, del r.d. n. 773 del 1931. In queste ultime ipotesi spetta all’Autorità di pubblica sicurezza ogni valutazione finalizzata a prevenire l’abuso di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili. Il pericolo di abuso deve essere considerato nella sua più ampia accezione e, pertanto, qualsiasi comportamento sintomatico di una mancanza di affidabilità del soggetto può essere considerato elemento idoneo a fondare il convincimento dell’amministrazione nel rilascio o meno delle predette autorizzazioni. Tale valutazione è giudizialmente sindacabile solo a fronte di vizi che afferiscano all’abnormità, alla palese contraddittorietà, all’irragionevolezza, illogicità, arbitrarietà e al travisamento dei fatti. Sempre in tal senso, va pure rilevato che i provvedimenti di contenuto negativo in materia di armi sono sufficientemente motivati mediante il riferimento a fatti idonei a far dubitare, anche solo per indizi, della sussistenza dei requisiti di affidabilità richiesti dalla normativa, fermo restando che il potere di controllo esercitato dall’autorità di pubblica sicurezza, collegandosi all’esercizio di compiti di prevenzione delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico, può e deve essere esercitato in senso negativo sull’istanza dell’interessato qualora ci si trovi in presenza di una condotta, anche priva di rilevanza penale, che si ritiene idonea ad incidere, anche su un piano solo sintomatico, sul grado di affidabilità di chi aspira al suo rilascio (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, sez. V,-OMISSIS-). A tale stregua, secondo la giurisprudenza in materia, qualunque precedente fattuale può adeguatamente costituire il presupposto di una valutazione negativa sull’affidabilità del privato circa il corretto uso delle armi, e neppure è necessario che tale presupposto sia rappresentato da precedenti penali (cfr. Cons. St., sez. VI, 5 dicembre 2007 n. 6181, secondo cui il rilascio della licenza a portare le armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, che rimuove il limite ad una situazione giuridica soggettiva già inclusa nella sfera giuridica del privato, bensì assume contenuto permissivo in deroga al generale divieto di portare e detenere armi sancito dall’art. 699 c.p., e ribadito dall’art. 4, comma 1, l. n. 110 del 1975, recante norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi; ne consegue che il potere di controllo esercitato al riguardo dall’autorità di pubblica sicurezza si collega all’esercizio di compiti di prevenzione delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico, ben potendo quindi essere esercitato in senso negativo sull’istanza dell’interessato, in presenza di una condotta che, pur non concretandosi in specifici illeciti di rilevanza penale, possa tuttavia incidere, anche su un piano solo sintomatico, sul grado di affidabilità di chi aspira al suo rilascio)” (TAR Campania, Sez. V, -OMISSIS-). Alla stregua delle suesposte coordinate ermeneutiche, i provvedimenti impugnati risultano adeguatamente motivati alla luce delle circostanze in fatto emerse al momento della loro adozione, a nulla rilevando gli sviluppi successivi della vicenda penale che ha interessato il ricorrente, che ben potranno fondare, su richiesta del ricorrente, una eventuale rivalutazione del complessivo giudizio di affidabilità del ricorrente da parte della Amministrazione”.

 

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Fonte: armietiro
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