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Cassazione: scacciacani ed esplosioni pericolose
Con sentenza n. 37174 del 9 ottobre 2024 (udienza del 19 giugno 2024), la Sezione I penale della Cassazione si è occupata di un caso molto particolare, relativo a un cittadino che è stato denunciato per esplosioni pericolose (art. 703 del codice penale) per aver sparato in strada l’ultima notte dell’anno con un’arma a salve che, tuttavia, non è stata poi ritrovata, ingenerando il dubbio che gli spari potessero essere stati effettuati con una vera arma da fuoco, caricata tuttavia con cartucce a salve. In Cassazione i giudici hanno accolto il ricorso con rinvio al medesimo tribunale (ma con diversa composizione del collegio), stabilendo che “In punto di diritto, giova ricordare che l’art. 703 cod. pen. ricomprende fra le condotte incriminate quella – contestata a (omissis) – messa in essere da colui il quale, senza la licenza dell”Autorità, in un luogo pubblico o nelle sue adiacenze, o lungo la pubblica via o in direzione di essa, “spara armi da fuoco”. Diviene, dunque, rilevante per l’integrazione della fattispecie l’accertamento che lo sparo provenga da arma da fuoco. L’art. 585, n. 1, cod. pen., a cui l’art. 704 (in relazione all’art. 703) cod. pen. rimanda, definisce, agli effetti della legge penale, come “armi” quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, oltre che tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo. La specifica caratteristica dell’arma richiesta dalla norma è, tuttavia, che essa identifichi un’arma da fuoco. Di conseguenza, si è puntualizzato che non è configurabile il reato di cui all’art. 703 cod. pen. nel fatto di esplodere dei colpi con un’arma giocattolo (Sez. 1, n. 11188 del 06/07/1994, Bianchessi, Rv. 199612 – 01): anche tale tipologia di strumento di sparo determina una differente e minore esplosione, ordinariamente non idonea a produrre effetti lesivi, di guisa che il reato in esame non è stato previsto come configurabile dalla norma. Nella stessa prospettiva, si è ribadito che non integra il reato di accensioni ed esplosioni pericolose (di cui all’art. 703 cod. pen.) l’uso di un fucile ad aria compressa che può, a seguito di perizia, essere considerato arma da sparo, ma non arma da fuoco – la quale per definizione comporta una fiammata o un’esplosione causata da materiale infiammabile, come la polvere da sparo – con la conseguenza che lo sparo in luogo pubblico può integrare il reato di getto pericoloso di cose (art. 674 cod. pen.) ma non quello di esplosione pericolosa (Sez. 5, n. 18062 del 19/01/2010, Basilico, Rv. 247135 – 01). In vista della corretta ricognizione del concetto di arma da fuoco, è poi utile ricordare che, in relazione all’originaria elencazione contenuta nell’art. 2 della legge 18 aprile 1975, n. 110, si era in epoca non recente affermato che per armi comuni da sparo devono intendersi tutti quegli oggetti rispetto ai quali sia possibile un’azione di propulsione di proiettili a seguito della forza di spinta di gas compressi, sia che l’impulso avvenga per l’effetto dell’accensione di un esplosivo, sia che venga provocato dall’aria compressa (Sez. 1, n. 120 del 09/07/1981, Saia, Rv. 151488 – 01). 2.2. In relazione al profilo della concreta offensività per i beni giuridici protetti e della capacità di ledere la persona in ragione delle caratteristiche costruttive e funzionali dell’arma, si fonda poi la distinzione di regime giuridico tra le armi vere e proprie e quegli oggetti che ne riproducono l’aspetto esteriore per forma, colore, dimensioni e che sono idonei a provocare soltanto bagliori e effetti sonori assimilabili a quelli di uno sparo, perché strutturati per essere caricati soltanto con munizioni a salve prive di ogiva, come nel caso delle pistole scacciacani, delle armi giocattolo e degli strumenti di segnalazione, i quali non possono tuttavia espellere proiettili di alcuna specie. Al riguardo, si deve aggiungere che con il d.lgs. 26 ottobre 2010, n. 204, è stata data esecuzione alla delega attribuita al Governo dall’art. 36 della legge 7 luglio 2009, n. 88, per l’attuazione della direttiva 2008/51/CE in materia di armi. L’art. 2 del suddetto d.lgs. ha introdotto l’art. 1-bis nel d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 527, contenente alcune disposizioni definitorie che riflettono quelle della direttiva comunitaria del 2008 e della precedente direttiva 1991/477/CEE. Al lume di tale ultima norma, per “arma da fuoco” s’intende “qualsiasi arma portatile a canna che espelle, è progettata per espellere o può essere trasformata al fine di espellere un colpo, una pallottola o un proiettile mediante l’azione di un combustibile propellente, a meno che non sia esclusa per una delle ragioni elencate al punto III dell’allegato I della direttiva 91/477/CEE, e successive modificazioni”.
La norma stessa (come è stato compiutamente evidenziato da Sez. 1, n. 29956 del 31/05/2013, Savio, Rv. 256396 – 01, in motivazione) sottrae, dunque, alla categoria delle armi da fuoco quegli strumenti che, sebbene rientranti nella definizione generale, risultano elencati al punto III dell’allegato I della direttiva 1991/477/CEE, ossia, oltre alle armi che sono state rese definitivamente inutilizzabili perché le loro parti essenziali sono state rese inservibili e impossibili da asportare, sostituire o modificare anche con interventi ripristinatori, da un lato, gli oggetti il cui uso è la destinazione a creare allarme, segnalazione, salvataggio, oppure per la macellazione e pesca all’arpione, o comunque impiegati in processi industriali o tecnici, se possano venire utilizzati unicamente per tali scopi specifici, e, dall’altro, le armi antiche o le loro riproduzioni, sempre che non rientrino nelle categorie precedenti e siano oggetto di disciplina specifica da parte delle legislazioni nazionali degli Stati membri.
L’art. 5 della legge n. 204 del 2010 ha apportato, fra le altre, corrispondenti modificazioni alla legge n. 110 del 1975, in specie agli artt. 1 e 5, in merito alla ricognizione di quelli che sono definiti strumenti da segnalazione acustica, destinati a produrre un rumore tramite l’accensione di una cartuccia a salve, i quali devono avere la canna occlusa da un inserto di metallo e un tappo rosso inamovibile all’estremità della canna. Il Collegio considera influente questo assetto normativo della materia per affrontare, nel caso in esame, la rilevanza giuridica degli spari esplosi da pistola caricata con cartucce a salve, rispetto al cui preciso accertamento le contestazioni difensive aprono il varco all’individuazione di un concreto vizio motivazionale, derivante dalla mancanza di prova circa la reale natura dell’arma. La motivazione a sostegno della sentenza impugnata muove, infatti, dal presupposto – affermato però in modo sostanzialmente apodittico – che l’imputato abbia fatto utilizzo di un’arma da fuoco vera e propria, benché caricata a salve. E fonda tale presupposto valutando principalmente il rinvenimento di alcuni bossoli a salve nelle immediate pertinenze dell’abitazione dell’imputato e la visione di un filmato amatoriale rapidamente diffusosi in numerosi siti web, visione dalla quale alle immagini perfettamente nitide, raffiguranti le scintille fuoriuscenti dalla canna dell’arma brandita da (omissis), si è coniugato un audio chiaro e ben comprensibile, oltre che sincronizzato con i colpi, che si è ritenuto tale da evidenziare le modalità della condotta e la sua riconducibilità a (omissis). A fronte di ciò, il giudice di merito ha ritenuto anche di poter qualificare la pistola ritratta nel video come “arma da fuoco a salve”, con tale espressione lasciando intendere di avere identificato quella pistola come un’ordinaria arma da fuoco, in grado di esplodere proiettili veri, ma caricata a salve nell’occasione.
Tuttavia, le notazioni svolte nel discorso giustificativo proprio della decisione impugnata per dare conto della disamina del compendio probatorio conducente alla riferita conclusione, basandosi essenzialmente sui – non dirimenti – dati suindicati, non consentono di ritenere esposti dal Tribunale elementi sufficienti a sorreggere la corretta classificazione della pistola usata dall’imputato, essendo restata nebulosa la puntualizzazione della verifica compiuta circa la sua riconducibilità alla categoria delle armi da fuoco o a quella, diversa, delle pistole tipo scacciacani, strutturalmente utilizzabili soltanto a salve, da ricomprendere fra gli strumenti utili a produrre rumore a fini di allarme o di segnalazione. In tale direzione, nessuna specificazione è stata resa in merito agli accertamenti risultanti dai verbali redatti dai Carabinieri che avevano condotto le indagini, nonostante nella sentenza si sia dato atto che – per il consenso prestato dalle parti all’udienza del 20.09.2023 – l’intero fascicolo del Pubblico ministero era stato acquisito al fascicolo del dibattimento, con conseguente utilizzabilità del relativo contenuto; né è stata fornita alcuna ulteriore precisazione circa le effettive caratteristiche dell’arma, in relazione a quanto i verbalizzanti, e in specie il teste (omissis) (alla cui deposizione è stato fatto in motivazione un sintetico riferimento), avevano accertato e dichiarato, posto che, come pure il giudice del merito ha sottolineato, la perquisizione eseguita per rinvenire l’arma stessa aveva avuto esito negativo. per tale ragione che l’affermazione conclusivamente espressa dal Tribunale sul fatto che i colpi in questione erano stati esplosi da (omissis) usando una pistola qualificabile come arma da fuoco si profila sostanzialmente apodittica, non risultando chiarito, in particolare, se si fosse trattato di un’effettiva arma da fuoco, impiegata con cartucce a salve, o, al contrario, di una pistola strutturalmente inidonea a esplodere proiettili diretti all’offesa del bersaglio. Il mancato accertamento di tale punto non è senza effetto, poiché esso attiene a un profilo determinante per stabilire la rilevanza penale o meno della condotta. In coerenza con quanto si è già considerato in tema di definizione del fatto sanzionato dall’art. 703 cod. pen., soltanto se gli spari risultano avvenuti con l’impiego di una pistola definibile rientrante nel genus delle armi da fuoco, possono dirsi sussistenti i presupposti per la configurazione del reato di cui all’imputazione: l’incolumità delle persone, costituente il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, in tal caso, sarebbe esposta a pericolo a causa dell’esplosione, che avvenga in una pubblica via e senza la predisposizione delle cautele imposte, di colpi che possono essere suscettibili di arrecare pregiudizi nello spazio immediatamente circostante al punto di sparo. La giurisprudenza di legittimità, in tale direzione, ha ritenuto che, proprio poiché le armi giocattolo non espellono proiettili di alcuna specie, provocando soltanto il rumore conseguente all’esplosione delle cartucce a salve e una trascurabile emissione di gas e di fumo dovuti alla combustione della polvere pirica, l’uso improprio e molesto di simili congegni, che non siano stati alterati in guisa di trasformarli in armi vere o da farle apparire tali, può realizzare eventualmente soltanto l’ipotesi criminosa dell’art. 659 cod. pen. (Sez. 1, n. 1076 del 20/12/1994, dep. 1995, Zino, Rv. 200804 – 01). In ordine al fenomeno della trasformazione dello strumento, è bene precisare che la stessa pistola originariamente strutturata come arma a salve, ove venga radicalmente modificata e resa idonea alla funzione espulsiva di proiettili mediante l’azione di un combustibile propellente, essa va considerata arma da fuoco, con le relative conseguenze. Si è, pertanto, affermato che è arma clandestina, la cui detenzione integra il reato previsto dall’art. 23 della legge 18 aprile 1975, n. 110, anche una pistola a salve, in quanto tale priva di matricola, che però sia stata artigianalmente trasformata in arma da sparo (Sez. 1, n. 28814 del 22/02/2019, Largitto, Rv. 276493 – 01; Sez. 3, n. 9286 del 10/02/2011, Piserchia, Rv. 249757 – 01). Sempre su tale crinale ricostruttivo, va osservato che in fattispecie concrete in qualche modo analoghe a quella qui in esame, in tempi antecedenti alla messa a punto normativa del 2010, si è altresì escluso che la detenzione di pistole scacciacani possa essere ricompresa nell’ambito di applicazione dell’art. 697 cod. pen., perché, quando in concreto si tratta di autentiche armi comuni da sparo, il fatto deve essere qualificato ai sensi dell’art. 2 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, e succ. modd., mentre, se esse non possono considerarsi armi nel senso specificato, il loro possesso è libero e non richiede la denuncia all’Autorità di Pubblica Sicurezza (Sez. 1, n. 1279 del 16/03/1994, Moschella, Rv. 197415 – 01).
In modo speculare e tenendo conto dell’evoluzione normativa intervenute con la legge del 2010, si è stabilito che il porto senza giustificato motivo, fuori dalla propria abitazione, di strumenti in metallo riproducenti armi (pistole giocattolo) ovvero strumenti di segnalazione acustica che esplodono cartucce a salve (pistole scacciacani), che siano sprovvisti del prescritto tappo rosso occlusivo della canna, integra la contravvenzione di cui all’art. 4, secondo comma, della legge n. 110 del 1575, come modificato dall’art. 5 d.lgs. n. 204 del 2010, in relazione all’art. 5, quarto comma, della predetta legge (Sez. 2, n. 2922 del 10/12/2019, dep. 2020, Musolino, Rv. 277966 – 01; Sez. 7, ord., n. 38216 del 15/01/2015, Esposito Vulgo Gigante, Rv. 264446 – 01). 4. Alla stregua delle coordinate così definite, diviene chiara la ragione per la quale il Tribunale avrebbe dovuto fornire una motivazione effettiva, e non congetturale, in merito al fatto che la condotta dell’imputato era consistita nell’esplosione di colpi comunque provenienti da arma da fuoco, e non invece da uno strumento strutturalmente vocato a sparare soltanto colpi a salve, equiparabile a una pistola scacciacani o ad altro meccanismo finalizzato alla segnalazione acustica. Tale limite ha viziato in modo determinante la motivazione della sentenza impugnata, non sorretta dall’adeguata esposizione della sussistenza di specifici indicatori in grado di stabilire la caratteristica di arma da fuoco della pistola, con la connessa potenzialità lesiva, e l’ha resa, pertanto, inidonea a fondare la responsabilità penale per il reato di accensioni ed esplosioni pericolose, oggetto di contestazione”.
Considerazioni tecniche sulla vicenda
Da quanto esposto dai giudici della Cassazione, appare evidente l’importanza, in casi come questo, di interpellare un perito balistico per quanto riguarda l’analisi dei materiali oggetto di sequestro (parliamo dei bossoli a salve e dei video nei quali si vede l’imputato sparare con la sedicente arma) al fine di qualificare correttamente i fatti nel loro svolgimento e nella loro rilevanza (o irrilevanza) penale. Chiunque si intenda anche superficialmente di meccanica delle armi, sa infatti perfettamente che un’arma semiautomatica vera ( che sia “nata” come arma semiautomatica o che sia una scacciacani successivamente modificata per sparare vere munizioni a palla) non può funzionare in modo semiautomatico sparando cartucce a salve, perché la deflagrazione della carica di lancio, senza il proiettile, non consente l’arretramento del carrello. Risulta quindi difficile coniugare il rinvenimento di cartucce a salve al suolo, vicino all’abitazione dell’imputato, con un video nel quale l’imputato stesso stia sparando, in modo semiautomatico, tali cartucce in un’arma vera.
Appare quindi perlomeno singolare che il giudice di primo grado si sia lanciato in ardite elaborazioni concettuali volte a identificare il tipo di arma effettivamente utilizzato, senza avere evidentemente gli strumenti tecnici per poter decidere sulla materia. Giova tuttavia a questo proposito ricordare che il giudice, secondo il nostro sistema processuale penale, è il “perito dei periti” e può non solo decidere autonomamente anche nel momento in cui si discuta di questioni tecniche, ma anche decidere in modo difforme da quanto indicato dall’eventuale perito da lui stesso nominato (seppur con l’obbligo di una congrua motivazione).
Né tantomeno tali strumenti tecnici sembra siano stati forniti dai carabinieri che hanno proceduto all’accertamento del reato: uno dei principali problemi di questo tipo di situazioni consiste proprio nel fatto che il giudice spesso in buona fede si basa sulle valutazioni svolte dalle forze dell’ordine, assumendo che per quanto riguarda gli aspetti tecnici relativi alle armi siano fonti attendibili, mentre non lo sono per nulla. Un quadro decisamente desolante, al quale i giudici della Cassazione hanno posto tardivo e oneroso rimedio.
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Fonte: armietiro
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