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Sparare nella proprietà privata: una interessante sentenza del Tar
Sparare nella proprietà privata è un atto illecito? E anche se non si parla di reato, può comportare il ritiro del porto d’armi? A fornire una risposta a questi quesiti provvede la sentenza n. 1205/2021 pronunciata dal Tar del Veneto, proprio in relazione alla condotta di un cittadino al quale è stato comminato dalla prefettura il divieto di detenzione di armi e l’obbligo di vendere quelle detenute entro 150 giorni (provvedimento sul quale il cittadino ha presentato ricorso), perché insieme a un amico aveva sparato “rispettivamente n. 50 proiettili cal. 9×21 con le armi ognuno intestate, nel campo di terra adiacente la loro abitazione, la quale si trova nelle immediate vicinanze di altre abitazioni, creando così pericolo per l’incolumità pubblica”. Nel provvedimento di divieto di detenzione delle armi ex art. 39 Tulps si osserva inoltre che “il predetto abbia abusato delle armi detenute, alla luce del comportamento assunto che appare pericoloso per l’incolumità pubblica, per il luogo improvvisato a poligono di tiro ‘fai da te’ e per il tipo di armi utilizzate”.
Nelle motivazioni della sentenza, che ha accolto il ricorso del cittadino, vengono evidenziati alcuni elementi estremamente importanti: il primo di essi è che sul fatto fu promosso anche un procedimento penale, il quale tuttavia fu archiviato “per infondatezza della notizia di reato”, il secondo è che “non vi sarebbe alcuna disposizione che vieti lo sparo in un luogo non abitato o comunque non adiacente ad un luogo abitato”.
Nella sentenza inoltre si legge che “la condotta contestata al ricorrente non risulta espressamente vietata da alcuna norma giuridica”, i giudici hanno inoltre osservato che: “nell’ambito del procedimento penale attivato nei confronti del ricorrente, il Pubblico Ministero ha rilevato che “gli indagati sparavano a fini ludici/sportivi con armi regolarmente detenute, in aperta area campestre di loro proprietà pertinente alla loro abitazione, con modalità pertanto non tali da porre concretamente in pericolo l’incolumità di indeterminate persone” e ha chiesto l’archiviazione del procedimento; che il giudice per le indagini preliminari ha “osservato che le argomentazioni del PM sono pienamente condivisibili” e ha disposto l’archiviazione del procedimento e la restituzione delle armi sequestrate; che la documentazione fotografica prodotta in giudizio risulta coerente con le valutazioni poste in essere dal P.M. e dal G.I.P., confermando che il ricorrente ha sparato in un’ampia area agricola aperta, in una direzione distante da zone abitate e da vie di comunicazione; che le condotte contestate sono state poste in essere nel periodo di c.d. “lockdown” derivante dalla pandemia Covid-19, in cui vi era un generalizzato divieto di circolazione; che il ricorrente ha giustificato la propria condotta in relazione all’eccezionalità della situazione contingente che ha comportato la chiusura, tra l’altro, del poligono solitamente frequentato”.
I giudici hanno quindi concluso che “alla luce di tali rilievi, già contenuti nella memoria prodotta dal ricorrente in sede procedimentale, risultino fondati i proposti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione; che pertanto il ricorso debba essere accolto e, per l’effetto, debba essere annullato il provvedimento di divieto di detenzione di armi impugnato, fermo restando il potere dell’Amministrazione di riprovvedere.
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Fonte: armietiro
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