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Legittimo inasprire le sanzioni per le irregolarità nei registri d’armeria
Con sentenza n. 174 del 7 luglio scorso, la Corte costituzionale ha emanato una sentenza sul giudizio in via incidentale promosso dal tribunale di Savona, in merito alla legittimità costituzionale dell’inasprimento delle sanzioni relative alle irregolarità di tenuta dei registri delle operazioni giornaliere ex art. 35 Tulps da parte degli armaioli. L’inasprimento era stato disposto dal decreto legislativo 204 del 2010, passando da una sanzione dell’arresto da tre mesi a un anno e dell’ammenda non inferiore a lire cinquantamila, all’attuale sanzione con arresto da sei mesi a due anni e dell’ammenda da 4 mila a 20 mila euro.
Il giudizio di legittimità costituzionale era stato promosso in un procedimento penale sulla materia, eccependo il fatto che il decreto legislativo 204 del 2010, stabilendo un aggravamento sanzionatorio per una fattispecie di reato già esistente anziché prevedere nuove fattispecie di reato, avrebbe ecceduto i limiti della legge di delega.
La corte costituzionale ha tuttavia ritenuto infondata la questione, dichiarando che “La giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che la delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato, la quale può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega: pertanto, al fine di valutare se lo stesso legislatore delegato abbia ecceduto da tali margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente (ex plurimis, sentenze n. 142 del 2020, n. 96 del 2020 e n. 10 del 2018).
Al contempo, il contenuto della delega e dei relativi principi e criteri direttivi deve essere identificato accertando il complessivo contesto normativo e le finalità che la ispirano, tenendo conto che i principi posti dal legislatore delegante costituiscono non solo la base e il limite delle norme delegate, ma strumenti per l’interpretazione della loro portata. Queste vanno, quindi, lette nel significato compatibile con detti principi, i quali, a loro volta, vanno interpretati avendo riguardo alla ratio della delega ed al complessivo quadro di riferimento in cui si inscrivono (sentenze n. 170 del 2019, n. 10 del 2018 e n. 210 del 2015).
Alla stregua di quanto evidenziato, deve concludersi che non era precluso al legislatore delegato, nell’ambito dei criteri di cui all’art. 36, comma 1, lettera n), della legge n. 88 del 2009, rivedere anche l’impianto sanzionatorio delle fattispecie incriminatrici rientranti nell’oggetto della delega. In particolare, nel dare attuazione alla direttiva 2008/51/CE, con la disposizione censurata il legislatore delegato ha proceduto alla riformulazione dell’art. 35 TULPS, ampliando l’area penalmente rilevante con la contestuale estensione dei soggetti attivi del reato (ricondotti alla nozione unitaria di armaiolo) e la previsione di obblighi aggiuntivi a carico dei medesimi, ed ha aggravato – proprio al fine di assicurare l’osservanza di tali obblighi – il precedente trattamento sanzionatorio mediante l’individuazione di una sanzione ritenuta più efficace, proporzionata e dissuasiva, nel rispetto in ogni caso dei limiti di pena di cui alla citata lettera n)”.
La corte ha quindi rigettato il ricorso, concludendo che “questa Corte ritiene che il Governo non abbia travalicato i fisiologici margini di discrezionalità impliciti in qualsiasi legge di delegazione, essendosi mantenuto entro il perimetro sancito dal legittimo esercizio delle valutazioni che gli competono nella fase di attuazione della delega, «nel rispetto della ratio di quest’ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie della materia penale» (sentenza n. 127 del 2017). Dal che discende la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Savona, sezione penale, dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 204 del 2010, nella parte in cui modifica l’art. 35, comma 8, Tulps”.
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Fonte: armietiro
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