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Litigi verbali non bastano per ritirare il porto d’armi
Con sentenza n. 17343 pubblicata il 9 ottobre 2024, la sezione prima ter del Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da un cittadino nei confronti della questura di Roma, che aveva disposto la revoca del porto di pistola per difesa personale per “alcuni episodi di conflittualità famigliare che avevano reso indispensabile, sia nel 2019, sia più di recente nel 2022, l’intervento delle forze dell’ordine”.
Il ricorrente aveva addotto a propria difesa, nel ricorso che “gli episodi a base del provvedimento non erano mai sfociati in violenze fisiche o minacce, come risultante dalle dichiarazioni della compagna nonché della figlia. Peraltro, si trattava di vicende avvenute a distanza di molto tempo fra loro. Dunque, l’amministrazione non avrebbe potuto fare applicazione né dell’art. 11 né dell’art. 43 Tulps, dato che dai fatti in questione non risultava alcun elemento dal quale potesse desumersi che potesse abusare dell’uso delle armi”.
I giudici hanno accolto il ricorso, disponendo la revoca del provvedimento di ritiro, argomentando che “ferma restando l’ampia discrezionalità che connota il potere valutativo dell’amministrazione a tutela degli interessi primari dell’ordine e della sicurezza pubblica, non va mai dimenticato che la stessa deve essere esercitata in coerenza con la situazione di fatto, oggettivamente esistente, e mediante la formulazione di una congrua motivazione sulle ragioni, concrete ed attuali, dalle quali possa desumersi il rischio di un abuso delle armi (cfr. TAR Roma, sez. I ter, n. 12512/2023). Il pericolo di abuso delle armi, in particolare, deve essere comprovato e richiede, sia un’adeguata istruttoria, sia una congrua valutazione, anche della personalità del soggetto, che possa giustificare un giudizio prognostico sulla sua sopravvenuta inaffidabilità, come in caso di personalità violente, aggressive o prive della normale capacità di autocontrollo. In conclusione, pur non essendo richiesto un oggettivo ed accertato abuso nell’uso delle armi, questo in forza del carattere preventivo delle misure di polizia, è, comunque, necessario provare che, sulla base di elementi obiettivi, vi siano circostanze tali che dimostrino una scarsa affidabilità nella detenzione o nell’uso delle armi o un’insufficiente capacità di dominio dei propri impulsi ed emozioni (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 238/2004). Facendo applicazione dei principi di cui sopra nel caso in esame, deve evidenziarsi che gli episodi segnalati dall’Amministrazione a base del provvedimento, oltre ad essersi verificati a distanza di oltre tre anni fra loro, non appaiono particolarmente significativi, stante che gli alterchi tra il ricorrente e -omissis-si sono sempre arrestati al piano verbale (la donna ha fatto riferimento solo a degli insulti ricevuti dal compagno e a litigi verbali; cfr. le annotazioni della Questura del 2.12.2022 e del 15.4.2019), come confermato anche dalla figlia in una nota depositata in atti. Dunque, non c’è mai stato, neppure sul piano soltanto verbale, un riferimento alle armi e ad un loro possibile abuso, né, soprattutto, un qualche atteggiamento del ricorrente volto a far presagire un possibile e futuro pericolo in tal senso. Inoltre, l’atto impugnato, come già evidenziato dal Collegio in sede cautelare, risulta in evidente contraddizione con quello adottato dal Prefetto in materia di detenzione delle armi (il Prefetto ha archiviato il procedimento). In effetti, nella nota del 25.8.2023 la Questura di Roma ha rilevato che la differenza è giustificata dalla circostanza che il provvedimento impugnato, rispetto a quello assunto dal Prefetto sulla detenzione, è soggetto a dei requisiti più rigidi. Tuttavia, e da qui la contraddizione, i due episodi a base dell’atto si sono verificati nell’ambito delle mura domestiche, dunque proprio la detenzione in questa vicenda si sarebbe anzitutto dovuta impedire, se realmente l’amministrazione avesse voluto scongiurare un utilizzo improprio nel contesto familiare delle armi da parte del ricorrente”.
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Fonte: armietiro
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