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Contestò un controllo irregolare dell’Enpa: ridate le armi a un cacciatore
Il Tar di Perugia (sezione prima), con sentenza n. 410 del 31 maggio 2024, ha disposto la restituzione a un cacciatore delle armi e del porto d’armi, che erano stati ritirati dalla locale prefettura, dopo che quest’ultimo era stato denunciato da alcune guardie venatorie dell’Enpa per violenza e resistenza a pubblico ufficiale, essendo intervenuto a difesa di un altro cacciatore sottoposto a controllo, contestando il potere delle guardie faunistico-venatorie di procedere a controlli al di fuori dell’attività venatoria strettamente intesa.
Nel momento in cui i giudici del Tar hanno esaminato la questione, il procedimento penale non si era ancora concluso, “tuttavia”, si legge nella sentenza, “la Procura della Repubblica di Perugia ha richiesto al GIP l’archiviazione, in particolare rilevando che “Per ciò che concerne le contravvenzioni sopra menzionate si ritiene che le stesse non sussistano in quanto le guardie venatoria risultano non titolari dei relativi poteri al di fuori dei controlli in sede di esercizio di caccia, circostanza nella specie non rinvenibile. In ordine ai delineati delitti per contro pur ravvisandosi nella condotta dell’indagato gli estremi di un comportamento atto a intralciare l’attività delle guardie venatorie lo stesso va ritenuto di portata particolarmente lieve difettando un reale atteggiamento minatorio che potesse palesare un imminente travalicamento in atti ed evidenziandosi come la durata dello stesso abbia in termini temporali inciso in misura contenuta nello svolgimento delle attività d’istituto”.”.
I giudici hanno accolto il ricorso, argomentando che “Non è necessario approfondire la effettiva portata della condotta del ricorrente, attraverso l’acquisizione della denuncia (essendo il fascicolo processuale ormai accessibile dall’interessato), e tanto meno attendere la pronuncia del giudice penale sulla richiesta di archiviazione. Né, d’altro canto, è possibile trarre elementi decisivi dalla richiesta di archiviazione (che, peraltro, potrebbe mostrare elementi di intrinseca incoerenza), ovvero apprezzare l’ipotizzata sussistenza dell’esimente specifica di cui all’art. 4 del d.lgs. l.gt. 288/1944, oggi art. 393-bis, c.p., introdotto dall’art. 1 della legge 94/2009). La prospettazione delle parti, infatti, coincide nel descrivere la condotta alla stregua di un’interferenza indebita, di un intralcio all’operato delle guardie faunistico-venatorie, intente a controllare un terzo. Nessuna forma di violenza o minaccia emerge, in realtà, dalla descrizione della condotta del ricorrente, e comunque non viene adombrato nessun collegamento della condotta con l’uso delle armi. La denuncia è stata richiamata dal provvedimento di divieto impugnato, senza descrivere o qualificare l’accaduto, semplicemente mediante l’affermazione secondo la quale le condotte illecite contestate “appaiono di particolare gravità, nonché incompatibili con una sicura detenzione delle armi”.
Tuttavia, la giurisprudenza, anche di questo Tribunale, è ferma nel ritenere che “in questa materia non si può prescindere da una valutazione complessiva della personalità del soggetto onde valutarne l’incidenza in ordine al giudizio di affidabilità e/o probabilità di abuso nell’uso delle armi (cfr. TAR Umbria, n. 355/2017 e n. 314/2018); e che il potere di cui si discute “deve comunque essere esercitato in modo logico e ragionevole, dopo un’adeguata istruttoria che consenta di evidenziare circostanze in fatto e le ragioni che spingono l’amministrazione a ritenere che il soggetto titolare dell’autorizzazione sia divenuto pericoloso o comunque capace di abusarne. La presentazione di un esposto o di una querela nei confronti del titolare della licenza può offrire l’occasione per lo svolgimento di ulteriori approfondimenti sulla sua affidabilità, ma non può costituire, per un mero automatismo ed in assenza di altri elementi, indice da solo sufficiente per l’espressione di un giudizio prognostico circa l’attitudine dell’interessato all’abuso delle armi” (TAR Umbria, n. 42/2021; cfr. anche n. 314/2018 e n. 355/2017, citt.; nonché, in senso analogo, Cons. Stato, III, n. 2543/2020 e n. 924/2020)” (così, da ultimo, TAR Umbria, n. 238/2024). Può aggiungersi che, a far venir meno il requisito della buona condotta, pure rilevante ai fini del mantenimento dei titoli di pubblica sicurezza ai sensi del combinato disposto degli artt. 43 e 11 del TULPS, non possa essere sufficiente una mera denuncia, in mancanza di una verifica di attendibilità attraverso il confronto procedimentale con l’interessato, ovvero di qualsivoglia riscontro da parte della magistratura penale. In ogni caso, come esposto, nel divieto impugnato non è rinvenibile alcuna specifica motivazione, ma soltanto il mero richiamo alla segnalazione che ha originato il procedimento penale, tuttavia, per quanto esposto, insufficiente a qualificare il comportamento del ricorrente in relazione alla previsione dell’art. 39, di cui si è fatta applicazione”.
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Fonte: armietiro
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